Il caso di Franca Viola, che nella Sicilia patriarcale della fine del 1965 rifiutò il matrimonio riparatore con il proprio rapitore e violentatore, facendolo condannare insieme a 7 complici, ha un precedente che risale a tre anni prima, al gennaio 1963, quando un’altra donna, Girolama Benenati, che oggi ha 82 anni, compì la stessa scelta, denunciando l’uomo che l’aveva sequestrata. Un episodio che si verificò nella stessa città, Alcamo, nel Trapanese, e venuto alla luce grazie ad alcuni documenti scovati dall’emittente locale «Alpa 1». Nelle carte del febbraio di 59 anni fa, i carabinieri di Alcamo comunicavano al commissariato l’elenco delle persone denunciate nel mese precedente, e tra queste figura Liborio Pirrone, fino a quel momento irreperibile. Come Franca Viola (la cui vicenda scosse l’Italia), Girolama Benenati subì le offese della gente che le dava della svergognata, della poco di buono e dell’infame. A differenza della più famosa concittadina, non si è mai costruita una famiglia e ha scelto di tacere. Un silenzio che mantiene anche a 59 anni dai fatti. Pirrone, detto Popò, rapì nel gennaio 1963 la ventitreenne Girolama Benenati che rifiutò il matrimonio riparatore e denunciò l’uomo, suo coetaneo, il quale subì un processo e una condanna a 5 anni e due mesi di reclusione. Con il protagonista della vicenda vennero denunciate in concorso altre cinque persone. Pirrone chiese il perdono per avere uno sconto di pena ma lei, con caparbietà e coraggio, non lo concesse. Liborio Pirrone è poi balzato agli onori della cronaca per reati di mafia: nel marzo 2010 il Gup di Palermo lo condannò a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa. È morto un paio di anni fa, per una malattia. Nella denuncia del ‘63 si leggono i capi d’imputazione ai danni di Pirrone: «Ratto al fine di matrimonio, violenza carnale e lesioni personali». Finora il primo caso di una donna che rifiuta il matrimonio riparatore e denuncia il proprio violentatore è stato considerato quello di Franca Viola, che a 17 anni fece condannare Filippo Melodia, nipote dell’allora boss mafioso di Alcamo Vincenzo Rimi, e i suoi complici. In quegli anni la violenza sessuale era considerata un oltraggio alla morale e non un reato contro la persona, e il violentatore poteva cavarsela qualora fosse intervenuto il matrimonio riparatore. L’articolo del Codice penale (il 544) che “assolveva» l’autore delle violenze fu abolito soltanto nel 1981, anche grazie alla battaglia condotta da Franca Viola, che allora fu difesa dall’avvocato Ludovico Corrao, parlamentare democristiano e poi del Pci.