E’ stato archiviato «per insussistenza di condotte di rilievo deontologico» il procedimento del consiglio di disciplina dell’Ordine di Caltanissetta nei confronti dell’avvocato Giacomo Frazzitta, legale della mamma di Denise Pipitone, la bimba rapita il primo settembre del 2004 a Mazara del Vallo. Il procedimento era stato avviato su segnalazione dell’Anm, dopo che il legale, nel corso di una conversazione telefonica con una testimone, poi rivelatasi mendace, aveva affermato tra l’altro: «Sono puerili! Perché i magistrati fanno schifo cara signora. I magistrati fanno schifo in Italia lo dobbiamo dire e sta succedendo anche nel caso Denise. Se ne stanno andando ad indagare la collega. Quale è l’urgenza?». Il consiglio rileva che l’avvocato Frazzitta era stato contattato già diverso tempo prima dalla testimone e dal marito, che si dicevano essere a conoscenza di elementi utili per le indagini sulla scomparsa della piccola Denise, e che il penalista il aveva immediatamente indirizzati all’autorità giudiziaria per valutare la loro attendibilità.
«Il legale che venga nuovamente contattato dalla possibile fonte testimoniale da cui, in precedenza, era già stato - addirittura per primo- contattato - scrive il consiglio - non ha motivo per astenersi dal colloquio con quella fonte che peraltro lui stesso aveva indirizzato all’autorità giudiziaria, fermo ovviamente il divieto di suggestionarla in qualsivoglia modo. L’avv. Frazzitta non ha quindi violato alcuna norma deontologica nel momento in cui, dopo essere stato chiamato al telefono dalla teste , si sia con questa intrattenuto nè ha «forzato» o “suggestionato» la volontà dell’interlocutore verso questa o quella deposizione». Riguardo poi all’espressione di pesante critica riferita alla magistratura italiana (“fa schifo”) il consiglio rileva che «l’unico limite alla libertà di espressione, di manifestazione del pensiero, è quello della lesione al bene giuridico della altrui reputazione che non può certo essere arrecata attraverso una comunicazione verbale, ed assolutamente riservata».
«Se si dovesse scivolare sulla pericolosa china di considerare illecita, anche solo di natura deontologica, l’espressione del proprio pensiero, qualunque esso sia, manifestata, in modo assolutamente privato, ad un solo interlocutore, - conclude il consiglio - il passo verso la repressione del ‘pensierò di per se stesso, rimarrebbe persino agevole. E’ una deriva da cui bisogna rimanere lontani».
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