La procura generale di Palermo ha chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi per l’ex senatore di Fi Antonio D’Alì imputato di concorso esterno in associazione mafiosa nel processo d’appello bis celebrato dopo che la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Palermo che, a settembre del 2016, mandò assolto l'ex politico per le contestazioni successive al 1994 e prescritti i reati a lui contestati nel periodo antecedente a quella data. Il primo appello aveva deciso conformemente al gup del primo grado. D’Alì è accusato di avere «contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato». Per i pm, l’ex senatore trapanese avrebbe avuto rapporti con le cosche e con esponenti di spicco dell’organizzazione come il superlatitante Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Francesco Pace, fin dai primi anni '90, e avrebbe cercato l’appoggio elettorale delle «famiglie». Il politico avrebbe poi svolto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare del Golfo agli interventi per l’Americàs Cup. Dei presunti collegamenti di D’Alì con le cosche hanno parlato vari pentiti tra cui Antonino Giuffrè, Antonio Sinacori, Francesco Campanella e da ultimo don Ninni Treppiedi e Antonino Birrittella, ritenuti attendibili dai giudici d’appello. Il 5 luglio è prevista l’arringa difensiva.