Paura in mare al largo di Bengasi. Il peschereccio "Aliseo" della flotta di Mazara del Vallo, che era impegnato in una battuta di pesca, è stato mitragliato da una motovedetta militare libica. Il comandante Giuseppe Giacalone è rimasto al braccio e alla testa. "Colpi di avvertimento in aria per fermare imbarcazioni che avevano sconfinato nelle nostre acque territoriali", dice il commodoro Masoud Ibrahim Abdelsamad, portavoce della Marina libica. Ma a smentirlo è il dato inoppugnabile di quella ferita d'arma da fuoco provocata da spari ad altezza d'uomo. La Marina militare italiana, intervenuta con la fregata "Libeccio" in soccorso dei tre pescherecci mitragliati, dice che le imbarcazioni italiane si trovavano "nella Zona di protezione di pesca libica" a 35 miglia a nord della costa di Al Khums. Un tratto di mare definito "ad alto rischio" dalle nostre autorità. Lo conferma l'assalto dell'unità militare libica, che non ha esitato ad aprire il fuoco. Come era già avvenuto qualche giorno fa, quando le motovedette avevano sparato contro il "Michele Giacalone", un altro peschereccio mazarese. Questa volta è toccato all' "Aliseo", all' "Artemide" e al "Nuovo Cosimo". A dare l'allarme via radio sono stati gli stessi marinai dei tre motopesca. Il figlio del comandante Giuseppe Giacalone, Alessandro, che è anche l'armatore, ha appreso che il padre era ferito ma senza sapere inizialmente quali fossero le sue condizioni. Solo dopo una telefonata satellitare con il fratello Giacomo, anche lui imbarcato ma su un altro peschereccio della società, l'"Anna Madre", ha potuto tirare un sospiro di sollievo: "Papà sta bene, è solo ferito lievemente a un braccio ed alla testa da alcune schegge del vetro della cabina andato in frantumi. L'Aliseo è stato liberato dai libici e sta facendo rientro a Mazara". A bordo del peschereccio, con sette uomini d'equipaggio, anche i militari italiani che hanno medicato il comandante. "Sono soddisfatto dell'operato del Governo, perché subito si è arrivati a una soluzione, evitando il peggio", ha commentato Alessandro Giacalone, rimasto in contatto tutto il pomeriggio con la Farnesina, la Capitaneria di porto di Mazara del Vallo e il fratello Giacomo. Che la situazione in quel tratto di mare fosse "ad alto rischio" le nostre autorità lo avevano già comunicato il 28 aprile scorso, quando otto pescherecci italiani si erano spostati a circa 35-40 miglia dalle coste di Bengasi malgrado gli "sconsigli" del governo. Un avviso inascoltato, visto che lunedì scorso era già dovuta intervenire in soccorso la fregata "Alpino" della Marina Militare dopo che un gommone proveniente dalla Cirenaica si stava dirigendo a grande velocita' in direzione delle imbarcazioni. E in attesa del ritorno a casa dell'"Aliseo", previsto per domani sera, a Mazara del Vallo l'ultimo episodio rinfocola le polemiche dei mesi scorsi quando l'1 settembre due pescherecci vennero sequestrati con l'equipaggio per ben 108 giorni dalle forze del generale Khalifa Haftar. Ci volle un blitz diplomatico a Bengasi dell'allora premier Giuseppe Conte con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio per sbloccare la situazione. Torna dunque a creare tensione l'annosa questione della Zona di pesca nazionale unilateralmente dichiarata dalla Libia a 62 miglia dalle proprie coste, in quelle che - secondo il diritto del mare - sono acque internazionali. "O si trova una soluzione o i nostri pescatori saranno sempre più in pericolo" dice il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci. "Per la seconda volta in una settimana - spiega - sono stati indirizzati colpi di arma da fuoco contro i nostri pescherecci. Questa situazione è oramai insostenibile, bisogna assumere delle decisioni". "Basta! Non ne possiamo più di queste azioni di violenza delle motovedette libiche contro i nostri motopescherecci. Non è tollerabile che i pescatori siciliani debbano andare a lavorare nelle acque internazionali con l’incubo di finire arrestati, sequestrati o persino mitragliati, senza colpa alcuna. Il governo italiano apra finalmente un confronto serio e risolutivo con Tripoli. Non vorrei pensare che per Roma la legittima tutela di interessi economici con la Libia debba fare dei pescatori siciliani una sorta di carne da macello”. Lo ha dichiarato il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci.