Poco meno di sei mesi fa si è riappropriata della sua identità, dopo 27 anni. Adesso è venuto il tempo di svelare il proprio volto. Piera Aiello, la testimone di giustizia e parlamentare del M5S, ha scelto un luogo simbolico per farlo: la sua terra, la Sicilia, nel giorno del 35esimo anniversario dall'omicidio del capitano Mario D’Aleo, assassinato da cosa nostra il 13 giugno 1983. Lo scorso 4 marzo Aiello era stata eletta alla Camera nell'uninominale in un collegio della provincia di Trapani, dopo una campagna elettorale condotta senza mai mostrare il proprio volto. La sua foto non compariva nemmeno sui fac-simile delle schede elettorali, per motivi di sicurezza. Piera Aiello, cognata di Rita Atria, la giovane che si dissociò dalla sua famiglia mafiosa e che si suicidò dopo l'omicidio di Paolo Borsellino. Da 27 anni vive sotto protezione, in una località segreta fuori dalla Sicilia. «Ne ho cambiate molte in questi anni», racconta. E da quando ha deciso di ribellarsi al contesto mafioso in cui viveva, ha cambiato anche identità. Oggi, che ha 51 anni, è diventata una donna 'delle Istituzioni'. «Con questa candidatura - dice all’Ansa - mi sono riappropriata del mio territorio, che mi hanno tolto 27 anni fa quando mi hanno portata via dalla Sicilia. Del mio nome mi sono riappropriata, in un secondo momento, quando sono entrata alla Camera per la prima volta. Adesso nella mia terra mi riapproprio del mio volto». La parlamentare ammette di non avere scatti recenti che la ritraggono con i suoi figli. «Gli unici risalgono a quando sono nati. Non ho nemmeno un selfie con loro», dice senza nascondere l’emozione. A Montecitorio la neo parlamentare del M5s ha scelto di essere inserita in commissione Giustizia. Ma spera di entrare a far parte anche della commissione Antimafia. Sulla sua nuova avventura alla Camera ha le idee chiare. «La prima cosa da fare è mettere mano alle leggi sui testimoni e collaboratori di giustizia. Andrebbero riviste, non tutelano le famiglie. C'è un distinzione netta tra le due figure: i testimoni di giustizia non fanno alcun patto con lo Stato, i collaboratori sì. Si tratta di figure diverse». La storia di Piera Aiello si intreccia con quella di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso nel '92 in via D’Amelio, quando la donna decide di denunciare i sicari del marito, figlio di un boss, parlando con l’allora procuratore di Marsala. «Mi sono esposta per tanti anni, lavorando dietro le quinte supportando i testimoni di giustizia, nelle istituzioni - aggiunge - Io non scendo a compromessi, l’unico modo per farmi stare zitta è uccidermi, ma io sono pronta, non ho paura». Con il magistrato assassinato da cosa nostra, Piera Aiello aveva instaurato un rapporto decisamente familiare, quando ne parla, lo ricorda chiamandolo con affetto 'zio Paolo'. «Mi ha insegnato il senso di rispetto per le Istituzioni, per me sono un luogo sacro. Quando sono entrata per la prima volta alla Camera ho pensato a lui: 'Grazie zio Paolo'. Se sono qui lo devo anche a lui; quando ho deciso di denunciare non sapevo parlare in italiano, mi esprimevo in dialetto». «Zio Paolo mi diceva "studià, leggi". Ho conseguito due diplomi, non sono riuscita a laurearmi per ragioni economiche per far studiare mia figlia. Adesso la più piccola vuole iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza, vuole fare il magistrato in Sicilia. Zio Paolo da lassù - dice con un sorriso - magari starà dicendo chi se l’aspettava...».