MAZARA. E’ un approdo di poche ore quello che sta effettuando a Lampedusa l’equipaggio del peschereccio «Aliseo» che sabato sera è stato preso di mira da una motovedetta tunisina mentre era in acque internazionali, a circa 30-35 miglia a nord-est dalla località tunisina di Zarzis. «Siamo arrivati alle 7 ma ripartiremo non appena avremo informato dell’accaduto gli uomini della locale Capitaneria di porto» dice al telefono Domenico Ingargiola, 67 anni, da oltre 40 anni marittimo.
Nelle sue parole il racconto dell’aggressione. «Ci trovavamo in acque internazionali - afferma - come ampiamente dimostrato dal blue box; della nostra presenza avevano avvisato, intorno alle 17, l’equipaggio della Marina militare italiana che si trovava in zona.
Abbiamo chiesto assistenza. Ci è stato risposto che non era possibile ma che ci avrebbero controllati tramite radar. Quando siamo stati avvicinati dalla motovedetta militare tunisina abbiamo cercato di metterci in contatto con quella italiana e ho chiesto a un tunisino del nostro equipaggio di parlare con i suoi connazionali; ma dalla nave italiana ci hanno detto di non farlo, cercando loro di parlare via radio con i tunisini che hanno cominciato a sparare colpi d’arma da fuoco».
Il comandante dell’Aliseo, a bordo del quale sono imbarcati 11 marittimi (4 mazaresi e 7 tunisini), riferisce ancora: "Sentendo i colpi di arma da fuoco ho mandato tutti in sala macchine e sono rimasto soltanto io in plancia. Quando abbiamo appreso dai militari italiani che dalla loro nave si stava levando in volo l’"uccello», così chiamano in gergo l’aereo, ho raggiunto gli altri uomini. Per motivi di sicurezza non abbiamo girato immagini dell’accaduto. Quando ci hanno raggiunto, i militari della nave italiana sono saliti sull'Aliseo, hanno effettuato un’ispezione, trovando tutto a posto».
Sul peschereccio non ci sono fori di proiettili. Intanto, i ricordi di Ingargiola vanno indietro a trent'anni fa, quando era comproprietario del peschereccio Salinella-Ingargiola: «Ci aggredirono i libici: io sfuggii al sequestro, ma i miei compagni rimasero sette mesi nelle carceri di Tripoli».
«Non abbiamo più le forze. Le spese sono insostenibili e senza assistenza da parte della Marina militare italiana è impossibile pescare nella zona del Mammellone nonostante ci si trovi in acque internazionali. Più tardi torneremo a effettuare una battuta di pesca, ma distanti dal Mammellone»
Caricamento commenti
Commenta la notizia