ALCAMO. Sono troppo pochi ottocentomila euro, seppure con interessi da rivalutare, per 'risarcire' il calvario giudiziario patito da Gaetano Santangelo, costretto a darsi alla latitanza per più di venti anni in Brasile per sfuggire alla ingiusta condanna - inflitta dopo confessioni estorte con scosse elettriche ai genitali e bevute di acqua salata - a 22 anni di reclusione per la strage di Alcamo nella quale il 26 gennaio del 1976 morirono due carabinieri, Salvatore Forcella e Carmine Apuzzo, una vicenda rimasta irrisolta. Lo ha deciso la Cassazione che ha accolto il ricorso di Santangelo - diciassettenne all'epoca dei fatti e condannato dal Tribunale dei minorenni dopo 14 processi - contro l'ordinanza con la quale la Corte di Appello di Catania, nel 2014, dopo il processo di revisione che nel 2012 lo aveva scagionato, gli aveva liquidato 516mila euro per ingiusta detenzione e 300mila euro per l'errore giudiziario. Troppo poco, per gli 'ermellini'. Santangelo da minorenne rimase 868 giorni in isolamento e, da maggiorenne, per altri 161 giorni. Poi si mise in salvo in Brasile. Santangelo fuggì in Brasile il primo gennaio del 1992 e ha diritto ad essere risarcito per tutti i disagi patiti sino al 31 maggio del 2013, data della sentenza del processo di revisione nato dalla testimonianza di un carabiniere, Renato Olino, che seppure molto tardivamente, raccontò nel 2008 a un giornale di Trapani che le indagini sulla strage di Alcamo, sulla quale investigò, erano state depistate. C'è chi, come Walter Veltroni, ritiene che ci sia stata Gladio dietro questa strage. Ad avviso della Cassazione - che ha respinto la richiesta del Ministero dell'Economia di ridurre l'indennizzo liquidato a Santangelo - non si può dire, come ha fatto la Corte catanese, che «il forzato trasferimento in Brasile abbia migliorato le attività lavorative e ricreative di Santangelo, i suoi rapporti affettivi e gli altri rapporti interpersonali, senza tenere conto delle verosimili sofferenze che l'uomo ha dovuto subire». Tra queste, elenca la Cassazione, «quelle di lasciare il proprio Paese, i propri affetti, le proprie cose, i propri amici e soprattutto un lavoro dignitoso e remunerato, per andare dall'altra parte del mondo non conoscendo la linqua, non avendo niente con sè, adattandosi ai lavori più umili e vivendo della carità delle organizzazioni religiose italiane». Per i supremi giudici, in casi del genere, di errore giudiziario dovuto a depistaggio e torture ad opera dei carabinieri, la cifra liquidata deve essere più vicina a quella di un vero risarcimento che a quella dell'indennizzo che si basa su parametri meno elevati. In Brasile fuggì anche Vincenzo Ferrantelli, altro diciassettenne accusato della strage di Alcamo, scampato alla condanna di 14 anni di carcere. Un altro dei condannati, Giovanni Mandalà, è morto in prigione mentre scontava la pena. Giuseppe Vesco, ritenuto il 'capo' del 'commando' si suicidò in carcere in circostanze misteriose sei mesi dopo l'arresto: era privo di una mano. Nel 2012, dopo 22 anni di carcere, è stato assolto Giuseppe Gulotta. Il Brasile rifiutò la richiesta dell'Italia di estradare Santangelo e Ferrantelli. Il verdetto della Suprema Corte è stato emesso dalla Quarta sezione penale, le motivazioni sono state pubblicate oggi - sentenza 7787 - e l'udienza si è svolta a porte chiuse lo scorso quattro novembre. Adesso la Corte di Appello di Catania dovrà rivedere il 'quantum' liquidato a Santangelo con l'ordinanza emessa il 24 aprile 2014.