TRAPANI. Rinuncia al ricorso contro la perquisizione domiciliare subita e la Corte Suprema di Cassazione - seconda sezione penale - lo condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 500 euro alla Cassa della Ammende. Insomma, per l’ex vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, indagato per i reati di appropriazione indebita e malversazione di fondi pubblici (quelli dell’8 per mille), nonchè per calunnia aggravata e continuata (a far data dal 2011, da quando cioè ha cominciato a sporgere querele ipotizzando un complotto nei suoi confronti) piove sul bagnato. Assieme ai suoi familiari, la sorella Domenica Miccichè e il cognato Teodoro Canepa, Miccichè aveva presentato ricorso avverso la perquisizione, disposta dalla Procura di Trapani ed eseguita dagli agenti della sezione di polizia giudiziaria della forestale e della finanza lo scorso mese di febbraio, culminata nel sequestro di beni, valutati centinaia di migliaia di euro. L’indagato e i familiari avevano proposto, prima di rivolgersi alla Cassazione, al Tribunale del Riesame, ma questi confermò il provvedimento di sequestro. Da qui, pertanto, la decisione di ricorrere alla Suprema Corte. Decisione che poi è stata rivista, dopo l’intervento del procuratore generale, con la rinuncia da parte dei ricorrenti. Consigliere relatore è stato il giudice Piercamillo Davigo.