MARSALA. Alta qualità e promozione mirata per penetrare nei mercati ancorando il vino, quanto più possibile, al territorio sono la ricetta per rilanciare la filiera vinicola “vendendo” oltre alla bottiglia tutta la sicilianità ecco perché sono al via iniziative milionarie firmate “Consorzio Doc Sicilia”. Sono concordi due esperti del settore: Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia e Gaspare Baiata, a capo della Cantina Paolini, tra le maggiori del Marsalese insieme a Birgi ed Europa. Quanto ai dati, quella appena iniziata è una vendemmia che registra un calo per quantità, ma picchi eccezionali per qualità. «Il calo – spiega Antonio Rallo, presidente del consorzio Doc Sicilia – è sensibile rispetto al 2013 che però è stata un’annata record. Registriamo un calo, in media, del 50 percento per le uve rosse e del 30 percento per le bianche». La causa è legata all’infestazione della peronospora, una malattia della vite difficilmente curabile. Tuttavia le uve rimaste sono notevoli. «Quella del 2014 è la migliore annata delle uve rosse che io abbia mai visto», dice, senza mezzi termini, Gaspare Baiata. E lo afferma anche Giacomo Manzo, presidente dell’Assoenologi Sicilia nonché enologo della Cantina sociale Birgi: «Siamo l’unica regione d’Italia a raggiungere l’eccellenza quest’anno. In altre regioni la produzione raggiunge il buono o l’ottimo, ma solo noi l’eccellenza. Ora bisogna sfruttare questa situazione per rilanciare il settore». Dunque, secondo gli esperti, questo potrebbe essere l’anno della svolta. «Prima di tutto – aggiunge Antonio Rallo – occorre legare il vino al territorio. Maggiore è l’identificazione del vino con il territorio di origine, maggiore sarà il successo per entrambi. Per questo il Consorzio, dal 16 ottobre, darà il via ad un progetto di promozione del brand Sicilia negli Stati Uniti. L’investimento è di un milione e mezzo di euro per esportare bottiglie, ma anche per far innamorare l’America della nostra terra attraverso pubblicità mirata su social network, media e riviste specializzate. Il progetto è curato da agenzie americane». Dopo lo stage in Germania, per Assoenologi – che in autunno promuoverà altri percorsi formativi in Paesi europei che fanno ricerca enologica – l’unica soluzione è la formazione professionale che deve essere ad altissimi livelli.
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