CAMPOBELLO. Una condanna a 18 anni di carcere è stata invocata dal pubblico ministero della DdA Pierangelo Padova per l’ex sindaco di Campobello Ciro Caravà, una a 16 anni per Gaspare Lipari, a 15 per gli imprenditori Antonino Moceri e Antonino Tancredi, 20 anni per Simone Mangiaracina e 18 per Cataldo La Rosa, di 47 anni, ritenuti il braccio operativo del boss Leonardo Bonafede per il quale è stata chiesta una pena di sei anni.
Si è conclusa così la requisitoria–fiume del pubblico ministero che già a dicembre aveva tracciato un primo quadro della famiglia mafiosa campobellese. “Leonardo Bonafede è la figura centrale di un’associazione che trova in Nunzio Spezia una seconda anima”. Sulla base per lo più delle intercettazioni, ma anche dalle deposizioni rese nel corso del processo che si sta celebrando nel Tribunale di Marsala, davanti al collegio presieduto dal giudice Gioacchino Natoli (a latere Roberto Riggio e Sara Quittino) lo ‘zu Nardo, anche inteso u Vecchiu o Armando, avrebbe trovato in Simone Mangiaracina, di 75 anni e in Cataldo La Rosa i suoi più fidi collaboratori. La famiglia mafiosa avrebbe avuto interessi in vari settori economici: edilizia, opere pubbliche, movimento terra e olive.
“Bonafede – ha detto Padova – avvalendosi di Mangiaracina e La Rosa si era mosso per prendere il potere sulle attività economiche. Gli esponenti di Bonafede erano molto attenti alle opere in corso di realizzazione. Attenzione anche nel settore del movimento terra al punto da decretare che gli imprenditori si devono riunire tutti per spartirsi i lavori”. Cosa che avvenne in un bar. Una delle regole fondamentali è da sempre trovare i ‘piccioli’ per i carcerati. Quanto alla posizione di Antonino Tancredi e Antonino Moceri, titolari della ditta Eurofarida che si occupava della conserva e del commercio delle olive, secondo il pm, l’azienda sarebbe nata “sana”. In un primo momento, infatti, gli imprenditori lavoravano secondo i loro interessi legittimi, ma “ad un certo punto viene svuotata e di fatto gestita da La Rosa, Mangiaracina e Bonafede”. Quanto a Caravà, il pm ha fatto riferimento alla sua “doppia figura” che, da una parte appariva difensore della giustizia, dall’altro avrebbe intrattenuto contatti con Cosa Nostra, tramite Gaspare Lipari, ritenuto il tramite tra l’ex primo cittadino e la famiglia di Campobello. “Anche questo processo – ha detto l’avvocato Giuseppe Gandolfo, che assiste l’associazione Antiracket di Marsala e di Mazara – come altri che si sono celebrati in provincia dimostra l’interesse della mafia sui vari settori economici ledendo i diritti di chi opera onestamente e arrecando danno all’economia”. Nella prossima udienza, fissata per il 23 gennaio, è atteso l’avvio delle arringhe difensive.
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