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Immigrato muore nelle tendopoli di Campobello, proteste

CAMPOBELLO DI MAZARA. È stata necessaria la morte di Oussmane, un giovane di 20 anni originario del Senegal morto in seguito all'incendio divampato all'interno di una tendopoli improvvisata a Campobello di Mazara, per accendere i riflettori sulle condizioni disumane in cui vivono circa 500 immigrati impegnati nella raccolta stagionale delle olive e nella vendemmia nella Valle del Belice. La struttura, allestita con cellophane, stracci e legno su una base di cemento che ospitava le baraccopoli del terremoto del 1968, costituisce infatti l'unico rifugio per gli extracomunitari che vengono ingaggiati per lavorare in campagna, con il sistema del caporalato.  Il capo di gabinetto della Prefettura di Trapani, Umberto Massocco, oggi ha assicurato che «l'Ufficio territoriale del governo sta valutando come intervenire, anche attraverso l'ausilio della commissione prefettizia (che regge le fila del Comune di Campobello di Mazara sciolto un anno fa per infiltrazioni mafiose ndr) per cercare di migliorare le condizioni di vivibilità» del campo. Un piano operativo non c'è ancora, anche perchè non è facile trovare una soluzione in tempi brevi. Ma qualcosa sembra finalmente muoversi dopo le proteste di numerose associazioni locali e la visita del deputato nazionale di Sel Erasmo Palazzotto, che ha denunciato le condizioni degradanti della tendopoli, senza acqua nè servizi igienici, sollecitando i commissari prefettizi a intervenire.  Oussmane era rimasto gravemente ustionato mentre tentava di accendere un fornelletto a gas per riscaldare del cibo. È morto domenica scorsa, dopo essere stato trasferito in un reparto specializzato dell'ospedale Civico di Palermo. «Era arrivato in Italia sette mesi fa, ospite di uno zio a Milano. Poi, pur di guadagnarsi da vivere, aveva lasciato il Nord e si era trasferito in Sicilia», racconta Maurice, un connazionale di Ousmanne che vive nella tendopoli insieme a centinaia di altri magrebini. La comunità senegalese in Sicilia adesso raccoglierà i soldi per il rimpatrio: «facciamo sempre così - spiega Maurice - per noi è importante partecipare ed aiutare in qualche modo la famiglia». Anche Ba aveva altri sogni. In Senegal ha una moglie e tre bambini, non li vede da due anni. Ha gli occhi lucidi pensando a Oussmane. Anche lui viveva a Milano dove faceva l'operaio in una vetreria. Poi è stato licenziato a causa della crisi e ora si ritrova a raccogliere olive, con una cassetta appesa al collo, per dieci ore al giorno, pagato tre euro e mezzo a cassetta. «Io qui non ci torno più - dice Ba - a tutto c'è un limite».

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