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Riedificare la chiesa di San Giuseppe a Castelvetrano: al via una raccolta di firme «in rosa»

Le donne della Confraternita chiederanno al nuovo Papa di salvare la struttura distrutta dal sisma del 1968

CASTELVETRANO. Le donne della Confraternita di San Giuseppe hanno iniziato una raccolta di firme per chiedere al nuovo Pontefice di riedificare la Chiesa parzialmente distrutta dal sisma del 1968. Da quella data funesta, complice anche l’Amministrazione del tempo, che ne «decretò» la demolizione anzi tempo, pensando magari di realizzare in quell’area dei palazzi,la confraternita di San Giuseppe ha continuato a «presidiare» quello che della Chiesa è rimasto, oltre alla sola navata centrale e precisamente due stanze attigue all’edificio, dove tra le varie attività, viene organizzata oltre alla festa del Santo, la famosa Aurora di Pasqua. Le donne della confraternita, che conta 25 persone, non hanno perso la speranza che la Chiesa possa tornare al suo antico splendore e hanno pensato di raccogliere le firme e allegarle ad una lettera da inviare al nuovo Pontefice. Le stesse signore dicono in coro: «Noi abbiamo amato la nostra Chiesa assieme ai tantissimi fedeli che andavano ad assistere alle funzioni religiose, ora speriamo che almeno i nostri nipoti possano avere questo regalo da Papa o da chi potrà restituirci anche parzialmente la nostra Chiesa». Sarebbe necessario un finanziamento che serva a mettere in sicurezza e a chiudere la sola navata centrale che è rimasta della Chiesa costruita inizialmente dalla corporazione dei falegnami nel 1616 nel Quartiere Pozzo di Sitti, oggi via Pietro Luna. Nell’unica navata vi si trovavano sette altari e quello centrale conserva ancora oggi i famosi stucchi ed affreschi di Antonio Ferraro Junior realizzati nel 1651. Le signore aiutate anche da volontari hanno creato l’altare con i pani di San Giuseppe vere opere d’arte. Si parla di 10.000 pezzi realizzati in un mese di lavoro. Giovanna D’Alberti dice soddisfatta «di aver visto tante persone anche giovani ragazze venire a guardare mentre impastavamo la farina, tagliavamo la pasta e soprattutto desiderose d’imparare la nostra arte, per poi magari loro stessi cimentarsi per conto loro». Ma quello che conta più di tutto, dice il rettore della stessa Confraternita Francesco Noto è «avere la speranza che qualcuno s’impegni a portare avanti questo progetto di recupero della Chiesa e della sua tradizione, che vedeva anche l’illuminazione ad acetilene della stessa Chiesa e la festa che durava tre giorni». Tutti sperano che anche per la Chiesa di San Giuseppe arrivi la «fumata bianca».

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