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Violenze in caserma a Pantelleria, condanna confermata per 4 carabinieri

PANTELLERIA. La terza sezione penale della Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui, il 15 dicembre 2015, il tribunale di Marsala condannò quattro carabinieri imputati per le violenze (lesioni personali e sequestro di persona) che sarebbero state commesse, nel 2011, nella caserma di Pantelleria, su persone fermate per controlli. La pena più severa (quattro anni e mezzo di carcere) è quella inflitta al maresciallo Claudio Milito.

Gli altri tre carabinieri condannati sono Luca Salerno (3 anni e 10 mesi), Lorenzo Bellanova (3 anni e 9 mesi), Rocco De Santis (un anno e 6 mesi). Per i primi tre anche 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Per De Santis, invece, l’interdizione dai pubblici uffici è di un anno e mezzo. Per lui, però, la pena è sospesa. Tutti e quattro sono stati, inoltre, condannati a risarcire le parti civili. Tra i reati contestati, anche il falso in verbalizzazioni. Per alcuni dei casi contestati c'era stata assoluzione.

In primo grado, furono, invece, assolti da ogni accusa il carabiniere Stefano Ferrante, anche lui accusato di violenze sui fermati, nonché il capitano Dario Solito (imputato per omessa denuncia) e il maresciallo Giuseppe Liccardi. Quest’ultimo, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Pantelleria, oltre che di omessa denuncia delle violenze, era accusato anche di favoreggiamento.

Il 9 novembre 2015, il pm Antonella Trainito, parlando di persone «pestate a sangue» e chiuse a chiave in cella senza alcuna ragione giuridica, aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati. L'indagine, condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala, fu avviata a seguito della denuncia di un marsalese, Vito Sammartano, 43 anni, cuoco, che d’estate si trasferiva a Pantelleria per motivi di lavoro.

«Sono stato fermato ad un posto di blocco e condotto in caserma verso le 4 del mattino - raccontò Sammartano - e dopo l’alcoltest, a cui sono risultato positivo, seppur di poco, sono stato massacrato di botte». Nel corso dell’inchiesta, sono poi emersi anche altri episodi dello stesso genere, tanto che la Procura allora diretta da Alberto Di Pisa individuò altre «parti lese».

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