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Dionisiache, a Segesta un nuovo classico del teatro greco: in scena Le Rane di Aristofane

CALATAFIMI SEGESTA. Le Rane di Aristofane con la regia di Cinzia Maccagnano domani alle 19.15, al Teatro Antico di Segesta.

Ancora un classico del teatro greco per il “Calatafimi Segesta Festival - Dionisiache 2017”, la manifestazione organizzata dal comune di Calatafimi Segesta in sinergia con il Parco Archeologico di Segesta e la direzione artistica di Nicasio Anzelmo.

Le Rane di Aristofane sono una parodia della decadenza politica e culturale dell'Atene dell'epoca del 405 a.C., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale. Aristofane guarda con nostalgia al passato perché sia evidente il vuoto del presente. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, che qui non è più il seducente straniero delle Baccanti ma un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche. Il ridicolo Dioniso, pazientemente guidato dal servo Xantia, intraprende il viaggio per l'oltretomba in cerca dell’autore che possa ridargli dignità, e con lui anche al teatro. Inizia così la catabasi verso gli inferi, dove non possono mancare gli incontri con Caronte, il portiere di Plutone, la Fantesca e molti altri personaggi, i quali appaiono come la copia deformata di una umanità bassa e volgare che abita il mondo terreno. Parentesi poetica è il coro di Rane della palude infernale che sulla soglia tra la vita e la morte, tra la realtà e la finzione, canta cignescamente inafferrabili versi poetici.

Il viaggio si conclude con l’atteso incontro con Euripide ed Eschilo, intenti a litigare per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. Alla fine Dioniso, giudice dell’agone, sceglie di riportare in vita Eschilo, come per dire che per una società oramai al tramonto, incosciente della propria volgarità, è meglio riportare alla memoria buoni esempi di valori e di vivere civile, piuttosto che sperare in una capacità di autocoscienza di fronte ad esempi di corruzione e degrado. In scena un cimitero di obsoleti pezzi di scenografia, attrezzeria teatrale in disuso, personaggi-relitto; un mondo obliato, ma non morto, tanto da poter sempre essere ridestato da chi, in bilico, insegua una chimera. Così Dioniso, sognatore ottuso e goffo, e il suo servo Xantia, il più furbo e lucido dei Sancho Panza, giungendo sulla scena mettono in moto il meccanismo del teatro e si aprono porte ovunque sia necessario attraversarle. Tutto si muove col tempo perfetto del teatro, dentro cui c’è spazio per la commedia e per la riflessione, per il caos dell’inferno e per la quiete di un cortile dove un cantore può lamentarsi dei tempi bui in cui si vive e, auspicando una rinascita, può evocare l’inizio di una nuova era che trasformi il cortile in universo. La scusa è ritrovare un autore degno di essere recitato, ma invece è tutto lì, in quell’Armata Brancaleone che inventa avventure, il senso di tale ricerca. E le Rane? Cosa sono le Rane? Le Rane sono la poesia, che non si vede, ma è ovunque la si voglia evocare; sono la natura altra del mondo. Alla fine del viaggio ciò che conta è riconoscersi tra Rane e insieme intonare il bel canto che accompagni l’impresa della risalita o almeno che illuda i sognatori d’essere più vicini al sublime.

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