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Auto-riciclaggio e ricettazione, famiglia a giudizio a Marsala

Tribunale di Marsala

MARSALA. Michele Licata, 54 anni, imprenditore marsalese, ex leader nel settore ristorazione-alberghiero, coinvolto in un’indagine della Guardia di finanza per una mega-evasione fiscale, truffa allo Stato e malversazione (accuse che lo scorso 2 dicembre sono sfociate in una condanna a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere) è stato rinviato a giudizio dal Gup di Marsala, con altri sei familiari, nell’ambito di un altro procedimento, scaturito dal primo, per auto-riciclaggio, ricettazione e violazioni finanziarie.

Tra la primavera e l’autunno del 2015, al «gruppo Licata» sono stati sequestrati alberghi, ristoranti, beni mobili e immobili, quote sociali, titoli e denaro per circa 130 milioni di euro. Le aziende operano in amministrazione giudiziaria.

Nel primo filone, sono state condannate, per alcuni capi d’imputazione, anche le figlie di Michele Licata: Clara Maria e Valentina. Nel frattempo, dalle indagini è emerso che Michele Licata, per evitare, secondo l’accusa, di subire ulteriori sequestri, avrebbe tolto somme di denaro dai sui conti correnti per versarli su quelli di suoi familiari (la moglie Maria Vita Abrignani, la madre Maria Pia Li Mandri e la figlia Silvia) fino a quel momento non indagati, ma per questo chiamati a rispondere del reato di ricettazione, come pure la figlia Valentina e il genero Roberto Cordaro. Sono sette, dunque, in totale, i componenti del nucleo familiare Licata adesso rinviati a giudizio.

Il processo, davanti al Tribunale di Marsala, inizierà il 25 settembre. L’indagine delle Fiamme Gialle fu coordinata dall’allora procuratore Alberto Di Pisa (cui, lo scorso anno, è subentrato Vincenzo Pantaleo) e dal sostituto Antonella Trainito.

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