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Truffa e corruzione: sei arresti ad Alcamo, coinvolto l'ex vicesindaco

Pasquale Perricone

ALCAMO. C’è anche l’ex vicesindaco ed ex assessore comunale di Alcamo e tuttora esponente del Psi nel Trapanese, Pasquale Perricone di 61 anni, tra i sei alcamesi arrestati (per due di loro sono stati disposti gli arresti domiciliari) questa mattina dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Trapani, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Trapani, su richiesta della Procura della Repubblica trapanese coordinata da Marcello Viola.

L’accusa formulata nei loro confronti è quella di essere componenti di un’associazione per delinquere responsabile di numerosi reati contro il patrimonio e contro la pubblica amministrazione. Si tratta, infatti, dell’epilogo di una lunga e delicata attività d’indagine svolta dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Trapani e dalla Tenenza di Alcamo, scaturita dal fallimento di una società (la “Nettuno soc. consortile arl”) incaricata dei lavori di riqualificazione del porto di Castellammare del Golfo.

Complessivamente sono 32 le persone coinvolte nelle indagini per reati che vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione aggravata, bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio, intestazione fittizia di beni, fino alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. In particolare, il provvedimento ha disposto, oltre al sequestro di beni e disponibilità finanziarie, la custodia in carcere per quattro persone che sono, oltre a Pasquale Perricone, sua cugina Girolama Maria Perricone di 49 anni, Marianna Cottone di 33 anni ed Emanuele Asta di 54 anni, e gli arresti domiciliari per Francesca Cruciata di 58 anni e Mario Giardina di 52 anni. C’è anche Domenico Parisi, ex consigliere comunale di Alcamo, tra gli implicati nell’operazione: gli è stato imposto un divieto di esercizio di attività professionale.

Come hanno spiegato oggi la Procura trapanese e la Guardia di Finanza, “le investigazioni hanno in primis svelato la natura fraudolenta di quella bancarotta (riferendosi al fallimento della suddetta società incarica dei lavori di riqualificazione del porto castellammarese e poi fallita ndr) che ha provocato una distrazione di somme per circa 4 milioni di euro e successivamente hanno fatto luce sulla figura di Pasquale Perricone quale amministratore occulto di tale società fallita, così come – proseguono gli inquirenti - anche della “CEA Soc. Coop.”, società aggiudicataria dell’appalto, unitamente alla CO.VE.CO Srl (società già nota alla cronaca per la vicenda del Mose di Venezia)”.

In un dettagliato resoconto fornito questa mattina dalle Fiamme Gialle, è specificato che Pasquale Perricone “pur non figurando ufficialmente nella compagine di alcuna delle predette società, si è posto quale regista di quella scellerata operazione imprenditoriale, voluta e pianificata sin dall’inizio con il preciso scopo di appropriarsi e disperdere in mille rivoli non tracciabili le ingenti risorse di denaro pubblico affluite nelle casse della “C.E.A. Soc. coop” e destinate alla realizzazione della citata opera pubblica”.

Tra i reati contestati al Perricone anche quello “di aver lucrato sui fondi stanziati per la “formazione professionale” mediante la creazione di una fitta rete di società (tutte intestate a prestanomi ma di fatto a lui riconducibili) responsabili di aver simulato l’organizzazione di numerosi corsi professionali “fantasma” al duplice fine di ottenere illecitamente ingenti finanziamenti pubblici e allo stesso tempo assegnare posti di lavoro in cambio di favori o altre utilità”. Ed è proprio in tale ultimo contesto, come riferiscono gli investigatori, che “è emerso in modo evidente il forte potere corruttivo in capo al Perricone, il quale, promettendo posti di lavoro o incarichi professionali all’interno delle società da lui gestite, era riuscito a corrompere un funzionario direttivo del Centro per l’Impiego di Alcamo, Emanuele Asta (oggi tra gli arrestati) in cambio della disponibilità di quest’ultimo ad attestare falsamente la regolarità dei corsi fantasma, preannunciando la data e l’ora delle ispezioni “a sorpresa””.

Secondo gli investigatori, è emerso “uno spaccato criminale particolarmente allarmante che ha disvelato non solo le logiche ed i soggetti che in concreto hanno organizzato e pilotato il lucroso “affare” dei lavori nel porto di Castellammare del Golfo ma anche l’esistenza nella realtà alcamese di un gruppo ristretto di persone che nel settore imprenditoriale ha operato e opera in modo spregiudicato ed in totale violazione della legge, nel tentativo di accaparrarsi appalti e finanziamenti comunitari”. In particolare, come indicano gli inquirenti, “è stata messa in luce l’esistenza di un vero e proprio “comitato di affari” suscettibile di influire prepotentemente sulla gestione politica ed amministrativa del Comune di Alcamo (soprattutto nella assegnazione degli appalti pubblici) e che, come effetto della sua capacità di penetrazione nel tessuto socio-economico di quella collettività, ha esteso il suo condizionamento tentacolare anche ad un altro fondamentale centro di potere locale, rappresentato dalla Banca di Credito Cooperativo “Don Rizzo” (determinandone nel 2014 le nomine del CdA e influenzandone le scelte). E tra i personaggi di spicco di tale “comitato d’affari” c’è proprio Pasquale Perricone, imprenditore edile e già vicesindaco del Comune di Alcamo”.

Gli investigatori ricordano inoltre che “Perricone, già negli anni passati, risultava essere stato additato da alcuni collaboratori di giustizia come contiguo alla locale famiglia mafiosa dei Melodia di Alcamo” e che “in ragione della propria pregressa storia personale, infatti, questi sembrerebbe essere stato, per un determinato periodo, “uomo di riferimento” di tale famiglia mafiosa nel campo imprenditoriale ed all’interno dell’amministrazione comunale di Alcamo”.
Procura e Guardia di Finanza fanno presente che “anche nella presente indagine sono emersi numerosi elementi indiziari che tuttora lascerebbero presumere che Perricone nella propria ascesa imprenditoriale e politica si sia consapevolmente avvantaggiato del beneplacito della famiglia mafiosa dei Melodia”.

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