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Caso Giambalvo, il consiglio di Castelvetrano di "autoscioglie"

Giambalvo era stato arrestato nel novembre 2014 perché considerato tra i fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro, era stato assolto e reintegrato nel suo ruolo di consigliere comunale

CASTELVETRANO.  Il braccio di ferro  è durato poco più di un mese: alla fine la maggioranza  schiacciante dei consiglieri di Castelvetrano (27 su trenta) ha  rassegnato le dimissioni determinando l'autoscioglimento del  consiglio comunale. Adesso toccherà alla Regione nominare un  commissario con i poteri del solo consiglio comunale. Il sindaco  e la sua giunta rimangono infatti in carica.

Si conclude così il «caso» politico, scoppiato anche in  seguito ad alcune interviste della trasmissione televisiva «Le  iene», legato alle vicende giudiziarie del consigliere comunale  Calogero «Lillo» Giambalvo, arrestato nel novembre di due anni  fa nell'operazione antimafia «Eden II» con l'accusa di essere un  fiancheggiatore del boss latitante, e suo concittadino, Matteo  Messina Denaro. In alcune intercettazioni Giambalvo si diceva  fedele al padrino e si augurava la morte del figlio di un  pentito.

Tuttavia, nel dicembre scorso, l'imputato era stato assolto a  conclusione del processo di primo grado ed il prefetto di  Trapani, che lo aveva sospeso, era stato costretto a  reintegrarlo nella carica. Tornato in Consiglio comunale il 25  gennaio scorso, Giambalvo si era difeso pubblicamente sostenendo  che l'accusa nei suoi confronti «era fondata su intercettazioni  e chiacchiere equivocate in sede di trascrizione come avrò modo  di chiarire».

«Tengo a precisare - aveva aggiunto - che la stessa Procura  in sede di discussione ha chiesto l'assoluzione dai capi di  imputazione più gravi. Sin da ora prendo le distanze da quanto è  stato detto contro di me sui media perchè ho sempre sostenuto e  sosterrò qualsiasi progetto di legalità».     Di tutt'altro avviso il vicepresidente nazionale della  Commissione Antimafia Claudo Fava, che nel corso di un incontro  pubblico a Castelvetrano aveva chiesto le dimissioni dei  consiglieri comunali: «È infamante - aveva sostenuto - che i  cittadini di Castelvetrano siano rappresentati da persone come  Giambalvo».

Una critica condivisa anche dal ministro dell'Interno  Angelino Alfano il quale, non potendo rimuovere per legge  Giambalvo, aveva tuttavia sollecitato i consiglieri comunali e  lo stesso sindaco del suo partito, Felice Errante, a fare di  tutto per farlo decadere. Una strada che oggi hanno deciso di  intraprendere quasi tutti i consiglieri comunali di  Castelvetrano, sia di maggioranza che di opposizione, ad  eccezione del diretto interessato che di dimettersi non voleva  proprio saperne.

«Ringrazio tutti i consiglieri  comunali di Castelvetrano e, in primo luogo, i consiglieri  comunali di Ncd-Area Popolare per la responsabilità e  l'attaccamento alla loro città - ha commentato il ministro e  leader di Ncd appresa la notizia -. Con le loro dimissioni hanno  voluto riaffermare il senso della legalità che, a causa del  comportamento di un solo uomo, per di più loro collega,  consigliere comunale, era stata messa gravemente a rischio.  Nessuno li ha costretti, non era un loro obbligo, nessuno li  avrebbe potuti costringere: eppure hanno rinunciato al loro  seggio in consiglio pur di difendere la reputazione della loro  città». «Hanno scelto di farlo - ha sottolineato Alfano -  restituendo così alla politica quella forza che tanti vogliono  negarle. Ringrazio anche il sindaco con il quale sono stato in  contatto in questi giorni e anche in queste ore, perchè ha fatto  esercizio della propria leadership per orientare questa  decisione».

Calogero Giambalvo alle amministrative del 2012 era risultato  il primo dei non eletti nella lista di Fli nella quale era  candidato come indipendente. Nel luglio 2014 sostituì un  consigliere chiamato a far parte della giunta; in  quell'occasione dichiarò di aderire al movimento Articolo 4,  fondato dall'allora parlamentare regionale Lino Leanza (ex Mpa),  poi deceduto. Oggi l'epilogo della sua carriera politica, in  attesa che si definisca in appello anche la sua vicenda  giudiziaria.

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