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Quattro arresti a Marsala: fermato Bonafede, il presunto reggente della cosca

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia

TRAPANI. Quattro arresti per associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e favoreggiamento aggravato sono stati eseguiti dai carabinieri nell'ambito dell'operazione denominata "The Witness" nel Trapanese.

Gli ordini di custodia cautelare sono scattati per Antonino Bonafede, 79 anni, Martino Pipitone, 65 anni, Vincenzo Giappone, 53 anni e Sebastiano Angileri, 48 anni. Tutti di Marsala.

Le indagini sono state dirette dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e coordinate dal sostituto procuratore Carlo Marzella. Secondo l'accusa Bonafede e Giappone provvedevano alla raccolta delle somme di denaro provento delle attività illecite per consegnarle al mandamento mafioso di Mazara del Vallo e ai familiari degli affiliati detenuti.

Secondo i magistrati, Bonafede sarebbe stato il reggente della famiglia mafiosa di Marsala e Giappone il cassiere dei boss. Inoltre per gli investigatori attraverso la fittizia intestazione Pipitone e Angileri gestivano una società di vendita all'ingrosso di materiale ferroso, formalmente intestata alla moglie di Angileri. Le indagini avrebbero documentato il passaggio di denaro tra gli affiliati, che era solitamente contenuto in buste di carta e indicato con "l'eloquente appellativo di malloppo".

La famiglia mafiosa marsalese, "al fine di mantenere il controllo del territorio di competenza, si interessava - scrivono i magistrati - al recupero di refurtiva, a dirimere controversie tra gli agricoltori e i pastori della zona e contrastare l'apertura di nuove attività commerciali che avrebbero potuto incidere negativamente con quelle riconducibili a personaggi protetti dai boss".

I militari, con l'impiego delle classiche metodologie investigative, ma anche con i più moderni mezzi tecnologici, sono riusciti ripetutamente a monitorare il passaggio del denaro tra gli affiliati, che era solitamente contenuto in buste di carta e indicato dagli indagati con l'eloquente appellativo di malloppo.

Infine le indagini hanno consentito di dimostrare l'appartenenza alla famiglia mafiosa anche di Baldassare Marino, assassinato a colpi di arma da fuoco nelle campagne di Marsala il 31 agosto 2013. Nei confronti di quest'ultimo erano stati raccolti  rilevanti elementi di reità anche in ordine alla fittizia intestazione di un'azienda marsalese, formalmente intestata a
terzi ed operante nel settore della produzione di conglomerato cementizio.

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