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Una zanna di elefante di centomila anni fa nei fondali trapanesi

Il reperto trovato dalla Soprintendenza del mare nelle acque antistanti Torretta Granitola, a Campobello di Mazara

CAMPOBELLO DI MAZARA. Dai fondali siciliani continuano ad emergere reperti archeologici di straordinario valore. L’ultimo portato alla luce dagli archeologi e i sub della Soprintendenza del mare è avvenuto nelle acque antistanti Torretta Granitola, a Campobello di Mazara, dove venerdì si è immersa la squadra guidata dal soprintendente e archeologo Sebastiano Tusa, dopo la segnalazione di Giampaolo Mirabile. Il reperto di grande interesse paleontologico rinvenuto è una lunga zanna di Elephas Mnaidrensis, parzialmente conservata e fortemente inglobata nel conglomerato naturale prodotto di accumuli alluvionali, evidentemente di epoca pleistocenica. La zanna è lunga oltre un metro e risulta sezionata a metà longitudinalmente. Ciò ha permesso agli archeologi di intravedere la struttura interna laminare della zanna, le cui dimensioni confermano l’identificazione al Mnaidrensis, l’elefante già indiziato attraverso i precedenti rinvenimenti. Infatti, già in quel tratto di mare, alcuni anni fa, vennero identificati due molari fossili di Elephas Mnaidrensis, una varietà di elefante di media taglia vissuto in Sicilia tra 100.000 e 200.000 anni fa. Nelle vicinanze sono state identificate probabili orme di elefante nel banco conglomeratico presente sul fondo del mare.
«Con questi ultimi rinvenimenti - spiega l’archeologo Tusa - è ormai chiaro che i resti dell’elefante si trovano sparsi in una limitata area non in connessione anatomica, ma raccolti all’interno di un deposito conglomerato a ciottoli, prodotto di deposizione alluvionale». Durante l’immersione, il gruppo di archeologi della Soprintendenza del mare ha, altresì, raccolto numerosi arnioni di selce verosimilmente proveniente dal basso Belice. «Si tratta di una pietra molto utilizzata nella più remota preistoria, soprattutto durante il Paleolitico e il Neolitico - spiega ancora Tusa - la cui collocazione a circa 4 metri di profondità potrebbe indicare ciò che resta di un relitto di nave che trasportava tale mercanzia. O, più probabilmente, ciò indicherebbe che in quella località, oggi in fondo al mare, un tempo ci fosse un insediamento abitato preistorico quasi completamente distrutto dall’innalzamento del livello marino». A Capo Puzziteddu, invece, gli archeologi hanno potuto osservare da vicino una struttura dal perimetro quadrangolare sui cui bordi sono stati individuati blocchi squadrati e anche alcuni modanati pertinenti cornici ed architravi.

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