Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Parroco ucciso, arrestato il presunto assassino

Si chiama Antonio Incandela, 33 anni, disoccupato. Abita a Fulgatore dove Don Michele Di Stefano era stato parroco per diversi anni

TRAPANI. I carabinieri arrestato il presunto assassino di Don Michele Di Stefano, parroco di Ummari, un frazione rurale di Trapani, ucciso con colpi di bastone nella canonica della chiesa il 26 febbraio scorso. Il presunto assassino si chiama Antonio Incandela, 33 anni, disoccupato e abita a Fulgatore, la frazione di Trapani dove Don Michele Di Stefano era stato parroco per diversi anni.

NON SOPPORTAVA LE  SUE OMELIE. Ha ammesso l'omicidio dopo un interrogatorio durato tutta la notte e ha spiegato anche il movente: è una confessione piena quella di Antonio Incandela. L'indagato, con precedenti per incendio, ha detto ai pm coordinati dal procuratore di Trapani Marcello Viola di non sopportare le omelie del sacerdote: don Michele avrebbe abbondato in particolari sui 'misfattì della piccola comunità rendendo riconoscibili le identità delle persone a cui si riferiva. L'uomo non avrebbe problemi mentali e secondo gli inquirenti, che lo seguivano da tempo, avrebbe anche una notevole abilità nello sfuggire alle indagini. Incandela era disoccupato ed aveva vissuto, negli ultimi tempi, a Pantelleria.


"NON VOLEVO UCCIDERLO".
"Non volevo ucciderlo, volevo solo dargli una lezione punitiva". Lo ha detto agli inquirenti Antonio Incandela. L'uomo, descrivendo le modalità dell'azione, ha messo a verbale di aver colpito l'anziano sacerdote al buio, mentre questi dormiva, utilizzando il manico di una zappa. Stando sempre al suo racconto, avrebbe colpito il parroco tre o quattro volte, pensando però di sferrare i colpi sulle gambe e non sul capo. Dell'"errore" si sarebbe accolto solo quando ha acceso la luce. "Quest'aspetto è oggetto di approfondimento", hanno osservato i magistrati, ribadendo che ancora non hanno ricevuto la relazione finale dell'esame autoptico eseguito dal professor Paolo GIaccone, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Palermo. Al fermato, i pm contestano l'omicidio pluriaggravato, oltre che la rapina e l'utilizzo illecito del bancomat della vittima.


INCASTRATO DAL BANCOMAT DEL PARROCO.
A tradire Antonio Incandela é stato l'uso del bancomat del parroco che, secondo la sua versione fornita agli inquirenti, ha rubato per simulare una rapina. La stessa notte del delitto lo scorso 26 febbraio, il presunto omicida ha effettuato un prelevamento di 250 euro presso un istituto di credito di Fulgatore. Alle 6 del mattino ha tentato un altro prelevamento a Trapani e l'indomani a Marsala. Ma questi ultimi due tentativi sono falliti. La svolta - come hanno sottolineato il procuratore Marcello Viola ed il sostituto Massimo Palmeri - è avvenuta quando la madre di Incandela ha denunciato ai
carabinieri lo smarrimento di una carta postamat con la quale il giovane ha effettuato un prelevamento di 200 euro. Confrontando le immagini riprese dalle videocamere delle banche e della posta, anche se sono di cattiva qualità, gli inquirenti hanno notato delle somiglianze. Hanno fatto quindi vedere il filmato ripreso dalla telecamera di Poste italiane alla madre, che ha riconosciuto il figlio. Fermato ed interrogato, il giovane ha "confessato" fornendo particolari che solo gli investigatori e l'assassino potevano sapere", puntualizza il sostituto procuratore Palmeri.


L'IDEA DI PUNIRLO SCATTA DOPO L'ULTIMA OMELIA.
Ad Antonio Incandela, disoccupato, padre di un bambina di due anni avuta con la donna con cui convive, l'idea di una "lezione punitiva" sarebbe maturata nelle prime settimane dell'anno, quando il parroco, durante un'omelia, condannando l'azione dei piromani, li ha definiti "mele marce". Antonio Incandela, ha precedenti penali per incendi dolosi: è accusato di aver dato alle fiamme un fienile e un'abitazione estiva a Marausa di proprietà dei genitori di una donna con la quale ha avuto, un decennio addietro, una storia sentimentale. Nella confessione resa ai
magistrati, l'indagato, ritenendo che la circostanza detta dal prelato durante la messa fosse un elemento che potesse portare i fedeli a individuarlo, avrebbe riferito che, un ventennio addietro, quando Incandela frequentava la scuola media, don Michele (suo insegnante di Religione), in più occasione, avrebbe riferito in chiesa i peccati da lui confidati.

Caricamento commenti

Commenta la notizia