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Flori, chiesti 30 mila euro per il rilascio Gli armatori: era in acque internazionali

Il peschereccio ormeggiato a Sfax in Tunisia. Tensione tra i marittimi: nuove forme di pirateria, l’Europa intervenga

MAZARA DEL VALLO. Per il rilascio del peschereccio "Flori", i tunisini vogliono circa 30 mila euro. Che gli armatori non intendono pagare perché hanno le prove che il peschereccio, al momento del fermo, era in acque internazionali. Per i militari nordafricani erano dentro il "mammellone".
"Vogliamo ribadire - dicono i fratelli Ingargiola, armatori del peschereccio - che la barca era fuori di circa mezzo miglio, come ha segnalato il blue box: 35° 55' 50" nord - 12° 26' 26" est", coordinate confermate anche dalla capitaneria di porto di Mazara. "Abbiamo sentito il nostro comandante, Vincenzo Barraco - dicono i fratelli Simone e Francesco Ingargiola - il quale ci ha riferito che l'imbarcazione è ormeggiata a Sfax, l'equipaggio sta bene ma che ai marittimi mazaresi non è consentito scendere dal motopesca mentre ai tunisini è permesso di allontanarsi".
L'ammenda di 30 mila euro gli armatori non la vogliono pagare "perché non è giusto - dicono - siamo dalla parte della ragione". "Nei confronti dei nostri marittimi vengono attuate pratiche abusive - afferma il presidente del distretto della pesca, Giovanni Tumbiolo. "Abbiamo ricevuto da parte della capitaneria di porto di Mazara" - aggiunge - le coordinate che indicano il punto nel quale è stato fermato il "Flori". Era in acque internazionali. Il dato è oggettivo perché lo indicano i rilevatori satellitari ed il blue box di cui dispone il "Flori".
Poi ci sono le strane coincidenze. "Abbiamo notizia - spiega Tumbiolo - che il "Flori"sia stato fermato dai tunisini a bordo di uno dei due pattugliatori italiani donati lo scorso 1 dicembre alla Tunisia (in una cerimonia avventuta ad Adria nalla presenza del ministro Annamaria Cancelleri) per il contrasto all'immigrazione clandestina. Se non è ridicolo, è almeno paradossale - continua Tumbiolo - che tunisini sequestrino i pescherecci di Mazara utilizzando i pattugliatori che l'Italia ha donato loro e che ai contribuenti del nostro Paese sono costati 23 milioni di euro, compreso il terzo che sarà donato successivamente. Nonostante ciò i migranti continuano ad arrivare".
La notizia è rimbalzata a Mazara ed i marittimi ci sono rimasti male. Poi qualcuno pone l'interrogativo: "Ma la nostra nave militare, la Lavinia, dove era? Non dovrebbe intervenire in queste circostanze?" Dovrebbe, ma se la Lavinia si trova a 20 o 30 miglia dalla zona di mare dove è avvenuto il fermo, come fa ad arrivare in tempo? Occore una sorveglianza più efficace.
"Lo Stato italiano e l'unione europea devono intervenire con urgenza ed energicamente nei confronti delle autorità tunisine" - dice Tumbiolo che si mostra molto preoccupato anche per il "Daniela L" che si trova dal 7 ottobre scorso sequestrato in Libia nel porto di Bengasi con a bordo due marittimi, Alberto De Santi e Rosario Grafato.
"Purtroppo - afferma - il peschereccio deve subire il processo d'appello ma il tribunale di Bengasi, al momento, è chiuso e non si sa quando riaprirà".
Un marittimo, con i nervi a fior di pelle, dice: "Stiamo assistendo da Sfax a Bengasi a nuove forme di pirateria, come nel Corno d'Africa".

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