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Erice, asportano ovaio sano: condannata l'equipe medica

Sentenza confermata dalla Cassazione. I dottori non avevano eseguito prima dell'intervento l'ecografia dell'organo sospettato di cattivo funzionamento, "facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi"

ROMA. Confermata dalla Cassazione la condanna per lesioni aggravate nei confronti di una equipe medica di una clinica di Erice che aveva asportato l'ovaio 'sano' di una giovane donna senza eseguire prima dell'intervento l'ecografia dell'organo sospettato di cattivo funzionamento. Per la suprema Corte è "negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell'intervento il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all'operazione senza aver prima proceduto al riscontro della stessa", come sarebbe avvenuto.

E questo vale ancor di più nei casi, come quello discusso dalla Cassazione, nei quali si opera in laparoscopia in quanto "la visione endoscopica non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l'ovaio malato da estirpare". La suprema Corte - con la sentenza 48226 - ha ritenuto peraltro provata anche la sussistenza della circostanza aggravante a carico dell'equipe medica, "dell'indebolimento permanente dell'organo della riproduzione: a parte il sicuro pregiudizio dell'equilibrio ormonale e psichico non può seriamente dubitarsi del fatto che l'eliminazione dell'unico ovaio sano abbia lasciato la paziente, in età fertile, con infime chance
di restare gravida nel futuro".

In pratica i medici che tolsero ad Giuseppina N. l'ovaio funzionante lasciandole quello con una grossa cisti si fidarono della cartella scritta dal medico addetto all'accettazione sulla quale era annotato l'ovaio sinistro da esportare mentre invece si trattava del destro. Osserva inoltre la Cassazione che al capo dell'equipe, il dottor Salvatore B. deve essere addebitata la maggior parte della responsabilità perché "solo qualche giorno prima aveva visitato la paziente e dato l'indicazione chirurgica". Quanto al fatto che la visita fosse avvenuta in uno studio privato non fa venire meno "l'errore eclatante" commesso ai danni della paziente. In via provvisionale alla donna sono stati concessi 40mila euro di risarcimento, cifra che sarà aumentata nel corso della causa civile.

Oltre a Salvatore B. sono stati condannati anche il suo aiuto Giovanni P. e la dottoressa Giuseppa M., cui è stata contestata anche la colpa per aver alterato le annotazioni sulla cartella clinica di Giuseppina N. Per tutti i camici bianchi le condanne per lesioni sono molto blande e pari a due mesi per la dottoressa, un mese per l'aiuto, e poco di più per il capo dell'equipe. Con questa decisione la suprema Corte ha comunque confermato il verdetto emesso dalla Corte d'appello di Palermo il 29 giugno 2011.

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