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Indagini sui roghi allo Zingaro: “C’è una regia occulta”

In una relazione la cronaca dei roghi. Aiello: evidente la matrice dolosa

PALERMO. È il 4 agosto, intorno alla mezzanotte gli operai credono di avere fronteggiato l’incendio. La Riserva dello Zingaro sembra salva. Ma qualcosa non va per il verso giusto: le fiamme entrano nell’area protetta, si moltiplicano. È un’alba di fuoco quella del 5 agosto. L’intervento aereo è «praticamente assente se non quando tutto è già compromesso». Quando i mezzi aerei arrivano devono pure fare i conti col vento: alle 13 del 5 agosto partono i primi quattro sganci d’acqua, «ma nessuno va a bersaglio». Le fiamme saranno domate solo l’indomani, nel tardo pomeriggio.
È la tragica cronaca dei tre giorni di fuoco che hanno annerito uno dei patrimoni naturali più importanti del Mediterraneo. Il racconto è messo nero su bianco dal Comando del nucleo di vigilanza dello Zingaro, che ha consegnato una relazione all’assessore regionale alle Risorse agricole, Francesco Aiello. L’ex sindaco di Vittoria presenterà oggi alla Procura antimafia di Palermo e alla Procura di Trapani un esposto contro ignoti, ritenendo che dietro agli incendi che hanno devastato la Sicilia ci sia una «regia», una «evidente matrice dolosa», in virtù della «contemporaneità degli eventi sul territorio isolano» che dimostrano «la tangibile determinazione degli autori a voler arrecare il maggior danno possibile al patrimonio della Regione siciliana». L’assessorato vuole accertare ogni tipo di responsabilità e sta procedendo «a una dettagliata valutazione economica dei danni arrecati per il giusto e dovuto indennizzo».
È il dirigente dell’Azienda foreste, Vincenzo Di Rosa, a raccogliere le testimonianze scritte degli ispettori in servizio tra il 4 e il 6 agosto, i giorni in cui la Riserva è andata a fuoco. «Alle 15.35 - si legge - sono stati segnalati diversi punti di fuoco. Vista la situazione meteo, con forte vento da sud, verosimilmente la situazione avrebbe interessato la Riserva». Per ore sono i dipendenti in forza alla Direzione della Riserva che fronteggiano l’emergenza. «Fino alle 1.30 - prosegue la relazione - nessun mezzo dell’antincendio boschivo è giunto a supporto per il territorio della Riserva». Ma parte del rogo è domato, anche perché «tutte le opere di salvaguardia passiva degli incendi - scrive il dirigente Di Rosa - erano già state portate a termine prima che si scatenasse la furia distruttrice del fuoco».
Ma gli autori del gesto avrebbero sfruttato «le condizioni meteorologiche propizie». Così le fiamme ripartono ed entrano verso il Bosco di Pianello. È il 5 agosto, alle 6 partono le richieste di aiuto al centro operativo di Trapani per l’incendio che minaccia le abitazioni a Castelluzzo. «Dopo le richieste rimase inevase - racconta il Nucleo di vigilanza - solo alle 13 interviene l’elicottero Sierra 3, che non può operare a causa di turbolenze per il forte vento in zona». Quindi entrano in azione due aerei, i Fire Boss 3 e 4, che effettuano «2 sganci d’acqua tutti fuori bersaglio». Da terra continuano «ulteriori richieste di aiuto di mezzi aerei rimaste però inevase». Alle 13.56 il fuoco entra nella Riserva spinto dal vento. Seguiranno una quarantina di sganci d’acqua, alcuni dei quali salvano un bambino e dei dipendenti intrappolati. È una notte di lotta contro il fuoco. Il terzo giorno, alle 8.23, anche la cattiva sorte sembra abbattersi sulla Riserva. Un Canadair è costretto a lasciare la zona «per avaria idraulica, dopo 23 sganci tutti previsti ed efficaci».
L’incendio è dichiarato estinto alle 19, dopo circa tre giorni di duro lavoro, nei quali l’assessorato evidenzia «lo spirito di sacrificio e di abnegazione degli operai della Riserva, che si sono resi disonibili e hanno manifestato concretamente la loro professionalità ed efficacia». Secondo il dirigente Di Rosa, è escluso che possano essere stati i forestali ad appiccare le fiamme: «È da escludere - scrive - sia per il grado di maturità e professionalità, sia per la loro consapevolezza che dal mantenimento del patrimonio pubblico scaturisce il sostentamento per sé e le proprie famiglie». Per Di Rosa, invece, sono ben altre le motivazioni: «Non si può sottacere - scrive - che chi deliberatamente devasta il territorio, è colui che spera di ricavare un vantaggio personale dalla impossibile resa e dalla rinuncia dell’amministrazione alla difesa del patrimonio comune».

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